Che cos’è la Sindrome di Stoccolma?
"La sindrome di Stoccolma si riferisce al fenomeno psicologico spesso osservato in situazioni diostaggio in cui gli ostaggi iniziano a identificarsi (e simpatizzare con) il loro rapitore, anche se maltrattati. Il rapitore controlla la fonte di vita (cibo, acqua, riparo, ecc.) Del prigioniero e la punizione / ricompensa è ricevuta dalla stessa fonte: il rapitore."
Poiché gran parte della nostra autostima nei tempi moderni è definita e deriva dal lavoro, si è a rischio di sperimentare la Sindrome di Stoccolma quando ci si trova in un determinato ambiente di lavoro abbastanza a lungo. Nella Sindrome di Stoccolma organizzativa il collaboratore di un’azienda inizia a identificarsi e a essere fedele a un datore di lavoro che lo maltratta (maltrattamento definito, in questa situazione, come abuso verbale, richiesta di un orario eccessivamente prolungato e generalmente l’ignorare il benessere e le esigenze emotive di il dipendente). Come nel caso della dinamica prigioniero/ sequestratore, il datore di lavoro ha il controllo sul destino del collaboratore".
Organizzazione e Sindrome
Il dipendente che sta vivendo la Sindrome di Stoccolma è talmente legato al proprio ambiente lavorativo che tenderà a difendere e a giustificare, razionalizzandoli, tutti i maltrattamenti del datore di lavoro in nome del benessere e della sopravvivenza dell’organizzazione.
Per quanto questa dinamica emozionale possa essere interessante, confesso che a me è capitato più spesso di incontrare manager che soffrivano di una specie di Sindrome di Stoccolma nei confronti di loro collaboratori. Avevano un rapporto quasi di sudditanza psicologica con loro e sembravano vivere alla continua ricerca della loro approvazione.
Scavando nella mia memoria, credo sia una delle dinamiche che conosco meno sensibile alla variabile di genere. Ho visto capi uomini o donne cadere indifferentemente in questa dinamica con donne o uomini o con persone del proprio stesso sesso. Sembra che si instauri un meccanismo per il quale il conflitto o anche solo la disapprovazione del collaboratore diventa un evento disturbante assolutamente da evitare.
Tipicamente, sia pure a un livello inconsapevole, il collaboratore percepisce questo meccanismo e tende a mantenere col manager un rapporto teso, scostante quando non sottilmente manipolativo. Nel team può succedere che stabilisca una sorta di controleadership, coagulando attorno a sé il consenso di persone che hanno un livello di autostima poco elevato e provano nello schierarsi col "collaboratore maltrattante" un senso di rassicurazione.
Come affrontarla
Cercando materiale relativamente ai manager in difficoltà nel gestire collaboratori aggressivi si trova poco. Questo deriva probabilmente anche dal fatto che, spesso, ci si concentra sulle relazioni di potere concentrandosi su quello formale e gerarchico e non si considera, invece, la componente emotiva.
Posso dire che ho conosciuto altrettanti manager che temevano un collaboratore di quanti collaboratori che temevano il proprio manager, solo che la paura verso il manager è una paura più esplicita, manifesta, per certi versi condivisibile, è accettato che si abbia paura di una persona in posizione di potere. La paura da parte del manager nei confronti del collaboratore viene vissuta più spesso con disagio, vergogna, dopo vari tentativi di guadagnarsene, inutilmente, la benevolenza, spesso si finisce per gestire il proprio disagio con l’evitamento (strategia inefficace), nella speranza che il collaboratore trovi di meglio e vada via (speranza che raramente si realizza).
Quali sono i fattori di rischio di personalità del manager vittima di "Sindrome di Stoccolma"?
- Il desiderio di essere amato supera quello di essere rispettato
- Ha difficoltà ad assumere un comportamento assertivo
- Tende a essere isolato nell’organizzazione e ha difficoltà a chiedere aiuto e a stabilire alleanze
- Ha, qualche volta, una storia familiare alle spalle nelle quali si è sentito responsabile del benessere dei genitori
Quali sono le possibili strategie di uscita?
- Ammettere la propria difficoltà, innanzi tutto con se stesso, e aprendosi con colleghi fidati
- Ridurre l’evitamento, cercando di aumentare i contatti con il dipendente con cui si ha la relazione problematica
- Accettare di non essere amato o di avere una relazione conflittuale sul posto di lavoro
- Comprendere che, con ogni probabilità, anche il collaboratore ha dei problemi ma lui è il suo responsabile e non il suo psicoterapeuta
- Un percorso di supporto, di coaching con uno psicologo esperto che possa aiutarlo anche a lavorare, più in generale sul proprio benessere personale.
Dietro ogni ruolo organizzativo c’è una persona e non si smette di essere vulnerabili, o persino fragili, perché si occupa una casella più in alto.
E a voi, è mai capitato di osservare queste dinamiche?
https://www.psychologytoday.com/us/blog/the-modern-time-crunch/201403/corporate-stockholm-syndrome